L’ASPI

27 Ago 2014

Cos’è

La Riforma Fornero si è posta, tra gli altri, l’obiettivo di riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali, razionalizzandoli ed evitare che continuino ad erogare trattamenti differenti in situazioni sostanzialmente uguali: la perdita del posto di lavoro.

L’ASpI, che è l’acronimo di Assicurazione Sociale per l’Impiego, dal 1° gennaio 2013 ha sostituito l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola e la disoccupazione speciale nel settore dell’edilizia e a partire dal 2017 sostituirà l’indennità di mobilità; esiste anche la Mini Aspi che ha sostituito la disoccupazione con i requisiti ridotti. Resta esclusa dalla riorganizzazione l’indennità di disoccupazione per gli operai agricoli a tempo determinato e a tempo indeterminato, per la quale continuano a valere le vecchie regole.

I requisiti dei lavoratori

Andiamo ora a vedere quali sono i requisiti per poter accedere all’ASpI:

  • i lavoratori devono trovarsi in stato di disoccupazione involontaria ed essere lavoratori dipendenti del settore privato, apprendisti, soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato, personale artistico, teatrale e cinematografico o lavoratori dipendenti della Pubblica Amministrazione con contratto di lavoro non a tempo indeterminato;
  • per disoccupazione involontaria si intende il doppio requisito per cui il lavoratore deve essere privo di occupazione ed allo stesso tempo immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di un’attività lavorativa;
  • fermi restando i primi due punti, il lavoratore deve essere in possesso di specifici requisiti assicurativi ovvero: anzianità assicurativa di almeno 2 anni e 52 settimane di contribuzione nell’arco dell’ultimo biennio (almeno 13 settimane nell’arco degli ultimi 12 mesi in caso di mini ASpI).

L’indennità è rapportata alla retribuzione mensile di riferimento data dalla retribuzione imponibile dell’ultimo biennio fermo restando il massimale che per l’anno 2013 è fissato in 1.152,90 euro. E’ prevista una decurtazione del 15% dell’importo dopo i primi 6 mesi e di un ulteriore 15% dopo 12 mesi.

Per poter richiedere l’Aspi, il lavoratore dovrà presentare domanda all’Inps in via telematica entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, pena decadenza dal diritto.

La durata massima varia in base all’età anagrafica e, a regime, a partire dal 1° gennaio 2016, sarà di 12 mesi per i lavoratori di età fino a 55 anni e di 18 mesi per i lavoratori con un’età superiore; attualmente il massimo è di 8 mesi per il lavoratori di età fino a 50 anni e di 12 per gli altri con graduale innalzamento negli anni 2014 e 2015. Per tutta la durata della percezione dell’indennità sono riconosciuti al lavoratore dei contributi figurativi utili ai fini del diritto e della misura della pensione.

Secondo una stima della Banca d’Italia, con le vecchie norme l’indennità di disoccupazione raggiungeva circa l’85% della popolazione; l’Aspi, una volta a regime, si rivolgerà al 98% dei lavoratori dipendenti.

A fronte dell’ampliamento della platea degli aventi diritto, per una parte di disoccupati diminuirà la durata del trattamento: a partire dal 2017 l’Aspi sostituirà anche l’indennità di mobilità, che in alcuni casi ora raggiunge anche i 48 mesi e

per le imprese che assumono lavoratori in mobilità non sarà più possibile usufruire degli sgravi contributivi.

Il tutto per cercare di ridurre la voragine in cui versano i conti pubblici.

Cosa cambia per i datori di lavoro

La Riforma prevede che non ci siano costi aggiuntivi per lo Stato ed è qui che iniziano i dolori per i datori di lavoro che a partire dal 1° gennaio di quest’anno vivono sulla propria pelle la portata del cambiamento.

La legge prevede che i nuovi strumenti di sostegno al reddito si finanzino attraverso la contribuzione all’Inps con le seguenti modalità:

  1. aliquota del 1,61% della retribuzione imponibile per la generalità dei lavoratori;
  2. contributo aggiuntivo del 1,40% della retribuzione imponibile per i contratti a termine;
  3. contributo d’ingresso all’Aspi in caso di cessazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato per motivi diversi dalle dimissioni.

I contributi di cui sopra sono a totale carico del datore di lavoro.

 Andiamo ad esaminare qual è l’effettivo aumento di costi:

  1. il contributo del 1,61% per la generalità dei contratti, va a sostituire il contributo per l’indennità di disoccupazione e formazione per la stessa percentuale; nella pratica c’è aumento di contributi per le sole categorie di lavoratori che non avevano diritto all’indennità di disoccupazione (es. apprendisti);
  2. il contributo aggiuntivo del 1,40% si paga per tutti i contratti a termine con l’esclusione dei contratti a carattere sostitutivo o stagionale. E’ previsto il rimborso del contributo aggiuntivo in caso di trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato, nei limiti delle ultime 6 mensilità. Il rimborso è previsto anche nei casi in cui, entro i 6 mesi successivi, il lavoratore venga riassunto a tempo indeterminato: in questo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti, il numero di mensilità corrispondenti all’interruzione tra un rapporto e l’altro (es. contratto a termine di durata 1 anno, 3 mesi di interruzione e nuova assunzione a tempo indeterminato: dal massimo di 6 mesi di rimborso devo detrarre i 3 mesi non lavorati).
  3. In tutti i casi di cessazione dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato per motivi diversi dalle dimissioni e dalle risoluzioni consensuali, il datore di lavoro dovrà versare un contributo di ingresso pari al 41% del massimale Aspi per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni. Il contributo d’ingresso è dovuto anche in caso di procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in imprese sopra i 15 dipendenti attivata presso le Direzioni Territoriali del Lavoro, che si sia conclusa con la presentazione delle dimissioni da parte del lavoratore, per agevolare l’accordo.

Questo “contributo di ingresso” è forse la parte più controversa della normativa; la circolare 44/2013 dell’Inps di recente emanazione, dà una sua interpretazione non del tutto condivisibile, sia sotto l’aspetto normativo che dal punto di vista del metodo di calcolo: quantifica gli oneri a carico dei datori di lavoro in 483,30 euro per 12 mesi, che diventano 1.451,00 euro di contribuzione per anzianità dai 3 anni in sù.

Questo importo non va riproporzionato in caso di rapporto di lavoro part – time, neanche con orario minimo; considerata l’evidente differenza economica tra contributo che verserebbe l’Ente e indennità ASpI che andrebbe a percepire il lavoratore a tempo parziale, speriamo in una inversione di rotta.

La legge lega l’importo a “ogni 12 mesi di anzianità aziendale”, che farebbe pensare che per i rapporti sotto i 12 mesi e per le frazioni d’anno i datori di lavoro non dovrebbero versarlo, per l’Inps è dovuto per tutti i mesi in cui siano stati lavorati almeno 15 giorni; anche qui, speriamo in un ripensamento.

Nella circolare, l’Inps specifica che hanno diritto all’Aspi anche i lavoratori che si sono dimessi per giusta causa e le lavoratrici madri che si sono dimesse entro il compimento dell’anno di età del bambino; teniamo presente che anche in questi casi saremo tenuti a versare il contributo d’ingresso.

Esclude invece l’obbligo di versamento in caso di decesso del lavoratore perché è un evento che non dà diritto all’Aspi; con gli stessi presupposti potrebbero escludere anche i lavoratori licenziati per raggiunti limiti di età con diritto di accesso alla pensione.

Riprendendo il testo di legge, ricorda che per il triennio 2013-2015 il contributo è escluso nei casi di cambio di appalto con continuità occupazionale dei dipendenti in forza di clausole sociali previste dai CCNL e fino al 2016 in caso di licenziamenti collettivi per i quali sia dovuto il contributo d’ingresso all’Inps per la mobilità.

La contribuzione sulla cessazione dei rapporti di lavoro non è frazionabile e va pagata entro “il termine di versamento della denuncia del mese successivo a quello della risoluzione del rapporto di lavoro”. In parole più semplici: cessazione il 10 maggio, versamento entro il 16 luglio. Per il periodo gennaio – marzo, il versamento va effettuato entro il 16 giugno.

La buona notizia è che la riforma Fornero non si applica ai rapporti di lavoro domestico: paghiamo il contributo aggiuntivo del 1,40%, ma non pagheremo il contributo per il licenziamento.

Chiama Ora